Parrocchia Cristo Re - Diocesi Rossano Cariati


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Solidarieta per Lampedusa

Momenti di vita Parrocchiale > 2013

CARIATI: SOLIDARIETÀ E PREGHIERA PER I MIGRANTI MORTI A LAMPEDUSA

di Maria Scorpiniti

La comunità cariatese e quella romena, in queste ore, si sono sentite molto vicine ai migranti della Somalia e dell’Eritrea che hanno perso la vita nella tragedia di Lampedusa. Un orrore infinito per i troppi morti, feriti e dispersi, tra i cui donne e bambini, stipati su un barcone dove non riuscivano nemmeno a muoversi, e una "vergogna!", per dirla con Papa Francesco che ha invitato tutti a riflettere. A Cariati le scuole hanno osservato il minuto di silenzio, mentre nella chiesa Cristo Re la consueta preghiera dell’adorazione eucaristica del giovedì notte, presieduta da don Mosè Cariati, è stata interamente dedicata al sacrificio di questi “fratelli”, persone, ha affermato il sacerdote, costrette da uno stato di miseria che noi, nonostante la crisi, non possiamo neanche lontanamente immaginare, considerate alla stregua di merce di scambio, rese schiave da un altro uomo in nome del dio denaro. Nella memoria collettiva sono ancora vive le immagini dei 29 giovanissimi clandestini sbarcati nel marzo 2011 sulla spiaggia di San Cataldo, infreddoliti e impauriti, e dei 75 megrebini intercettati nelle acque cariatesi nel maggio scorso, accolti, vestiti e rifocillati dalla comunità parrocchiale di Cristo Re prima di essere smistati nei centri di accoglienza più vicini.
Ma la tragedia di Lampedusa ha toccato, ancora di più, i cittadini stranieri che vivono a Cariati, dove si sono integrati e hanno iniziato, negli ultimi tempi, un’attività di promozione culturale della loro identità e di tutela di diritti.
Per tutti si è fatta portavoce Elena Faina, romena sposata con un cariatese e madre di un bambino, presidente dell’associazione “Insieme la nostra voce” che include cittadini di diversa nazionalità presenti sul territorio. “Per la mia esperienza personale, ci ha detto, so cosa significa essere un clandestino … ho passato le dogane a piedi. Dalla Romania ho portato con me solo uno zainetto sulle spalle nel quale avevo messo i miei sogni, le mie speranze e tantissima paura. Andavo in una terra dove non conoscevo nessuno, non conoscevo la lingua. Ero una ragazzina, ma sono stata una delle poche che ce l’ha fatta. Sono momenti che non si possono dimenticare. Ora mi metto nei panni di questa povera gente che arriva con imbarcazioni malridotte e stracolme, che soffrono il freddo e la fame. Non è colpa loro se sbarcano in Italia: è la posizione geografica che lo permette, è una facile via di fuga!”.
Anche per Carmen Florea, romena sposata e residente a Corigliano, mediatrice culturale del progetto Interlab della Regione Calabria e della Cooperativa Sociale Promidea, queste tragedie “devono” colpire per far capire che si tratta di esseri umani. “Dobbiamo comprendere che l’immigrazione non è più un fenomeno ha affermato Carmen, che tra l’altro è anche membro della Commissione Migrantes della Diocesi RossanoCariati - perché il fenomeno è qualcosa di transitorio. Ogni discussione su questo tema non può essere una fredda comparazione di costi e benefici, e non bisogna mai dimenticare che l'immigrazione è fatta dagli stessi immigrati: uomini in carne ed ossa, con le loro storie, le loro speranze, le loro paure e debolezze, i loro diritti e doveri, la loro creatività, la voglia di rendersi utili o di approfittare delle situazioni, i loro vincoli familiari”. Carmen
,operatrice nel distretto sanitario e nel centro per l’impiego di Corigliano, condanna il reato di clandestinità ed è un punto di riferimento per i suoi connazionali che le chiedono informazioni su leggi e normative e desiderano, a volte, scambiare con lei solo due parole nella lingua d’origine. “Ogni volta che ho dovuto aiutare una persona non ho guardato il suo stato, mi sono chiesta: e se fossi io? E se tutto ciò fosse accaduto a me? Sono andata avanti, prendendomi sempre la responsabilità delle mie azioni”.
I fatti di Lampedusa ci dicono che il momento attuale è delicato sia per la nostra nazione, sia per la comunità internazionale. L’umanità in fuga interroga le coscienze, affinché si ponga fine ai viaggi della speranza e il nostro bellissimo Mediterraneo, culla di civiltà e di cultura, punto di incontro di popoli, si riappropri del proprio ruolo non diventi più il nemico che semina morte.




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